 il professor Ulisse rifiuta il buon senso
il professor Ulisse rifiuta il buon senso
si inventa una lingua 
entra senza batter ciglio in un favoloso labirinto
che in fondo è un vicolo cieco
sfugge ai semplici esempi
  preferisce all’ordinario tramestio dei tarli 
il silenzio di macchine pensanti      
  amministra la sua dote di anonimato
collaborando a un catalogo di autori per il secolo venturo
frequenta in coppia con miss Itaca i paradisi di Buda
scende una volta al mese all’inferno 
con al guinzaglio un alano e una ragazzetta albanese
  lavora senza posa alla sua arte
con la dissolutezza di chi ha ricevuto il battesimo del sangue
  segue la dottrina di antichi maestri orientali
cerca il vuoto nella carne
come certi animali sofisticati non lascia prole
si condanna a un grossolano esilio in un’isola a forma di cuore  
aspettando il giorno della creazione 
  sopporta la fine dell’uomo
grazie a una sfrenata passione per l’infanzia
    su, non fare l’allocco,
come insegna il nome che ti hanno dato
devi portare a termine il tuo compito,
lottando contro la morte (e chi altro?) 
  è stato fin troppo facile, 
mio buon Telemaco,
ossessionato più da tuo padre che dal tempo,
hai trascurato la cosa essenziale: 
concederti a volte  
senza per questo temere di perderti un solo istante 
  sei cresciuto nell’ovatta, guardando tua madre 
con lacrime più minacciose dell’infanzia,    
nascondendo con voluttà i tuoi rimorsi 
nella tenera mollica di giovani corpi, 
incline a perdonare le colpe di tutti
la fronte troppo alta per pensare solo a te stesso
  tutti i tentativi per rinviare questo momento
sono falliti come carne a fuoco lento, 
e neppure il cosiddetto amore per l’Arte 
ti è servito a fraternizzare meno con gli incolti
(chi, d’altra parte, meglio di un porcaio 
può conoscere il cuore di un uomo?) 
  con disgusto hai affondato il piede nella vastità della Storia, 
non hai interrogato i seguaci del Tempio 
(cercavi consiglio, non consolazione),
grazie alla pigrizia come salvacondotto,
sei riuscito a non uscire dai confini dell’esistenza 
(o comunque a farvi subito ritorno)
  ma ora tieni tra le mani per l’ultima volta  
lo scettro dell’immaginazione, 
accetta, mio buon Telemaco, un ruolo minore:
è tempo di ricorrere con misura e pudore all’infelicità.
   
    
che faremo, mio buon Telemaco, di questo lago aviatore?
tanto per lui è solo un’altra tacca 
un’altra coppia di giovani amanti affondata che si inabissa 
  e dell’omerico Goethe, 
della sua teoria dei colori 
che en passant  la pupilla dilatata ogni volta mette in discussione?
  chi non dorme al posto dei capelli ha finimenti attaccati alle tempie 
alza la testa come un continente alla deriva
mentre fuma dalle narici  
  prima di rinnegare i suoi comandamenti
sogna di abitare in un’isola più muta della pietra     
più potente di un paraocchi 
  e infatti cosa succede?
il cellulare prima che il gallo canti squilla tre volte
amores amores amores
  per fortuna le orecchie dei pretendenti non noteranno la differenza
(tra un esilio e l’altro non ci sono che imperi 
e invasioni di ovatta per vivere tra le righe) 
  e allora che ce ne faremo 
di questo anello perduto in fondo al lago
che congiunge le mie vertebre al tuo mignolo chiaroscuro? 
  non chiedere a quel cigno
di ficcare il becco tra il tuo inguine spalancato
e il mio silenzio 
   
    
non sono ancora morto 
sto solo dormendo
dentro la fossetta del mento 
appoggiato en plein air  al cavalletto del mondo
  chiunque abbia dipinto questo giorno si è dimenticato di me    
oppure più potente di un impero in disgrazia
ha perduto il modello per un uomo a terra
  così preferisce un profugo di Europistan 
che attraversa il lungosenna abbracciando i rami degli alberi 
come fossero vecchi compagni d’armi
  con un urlo sdentato strappa la sua ombra
vicolo cieco dove ingombrano i sogni 
in guerra con gli eczemi le desinenze le manfrine dei burocrati   
  L’ansa del fiume comunque la si rigiri
ci ricorda nei bateaux mouches  
la massa di formiche lavoratrici
  avvezze alla smorfia della pioggia sopra i ponti 
restano nella fretta con le zampette sospese alcuni istanti
prima di essere polverizzate da tempia a tempia
  non sono ancora morto, 
monsieur 
  dentro la fossetta del mento
ricoperto en plein air  fino allo scroto di foglie svolazzanti 
  chiunque io sia non saprò mai chi mi ha messo a fuoco 
chiedendo consiglio al secolo, abbracciato al cavalletto del mondo
con la bocca impastata da un urlo più potente del lievito 
    
Si sa il dolore è autodidatta, 
  non ha bisogno di trattati di eloquenza
(né di parlare una lingua inventata), 
per questo Telemaco non diventerà mai
una star della semiotica.
  Risalendo alla ricerca di se stesso, 
allievo solo del suo albero maestro, 
avvista, lungo la costa atlantica, 
un college nella baia. 
  Si lega allora all’ennesima sirena di provincia
con corde più forti dell’amore (non ripete l’errore), 
accennando con i sopraccigli alle sue cosce 
più potenti di un colpo di remi.
  Ma la sua resta una lezione distaccata,
di chi sa che, breve o lunga, la traversata
è governata dall’eterna inesperienza di un giovane esegeta    
(o dal sonno imprevisto di un vecchio timoniere).    
  Per questo più raffermo di un pezzo di pane,
accoglie con sollievo sul ponte della nave 
un volo a capofitto di gabbiani (prima i gabbiani)
non sopporta di essere divorato dallo sguardo di chi non ha fame
  I suoi discepoli più fedeli hanno la grazia di profughi in alto mare,
pupille affilate da dinastie di ore insonni   
uncini ossuti al posto delle mani
scroti e mammelle raggrinziti dal terrore.
  Ma lo ascoltano in silenzio anche: 
  - madri bambine al telaio 
- adolescenti barbuti travestiti da soldato
- emissari del nulla con orecchini al naso    
- giovani discendenti dell’eterno ritorno
  Tutti attendono ogni giorno di essere dimenticati.
  Perciò è giusto infine prendere appunti 
solo in presenza di destini oscuri,
trasformando ciò che si è amato in qualcuno o qualcosa,
non chiedendosi se è esistito. 
  Massimo Rizzante, nato nel 1965, è poeta (Lettere d'amore e altre rovine, 1999) e critico letterario. Dal 1994 è redattore della rivista francese "L'Atelier du roman" e collabora a diverse riviste italiane e straniere. Nel 2002 per la rivista "Riga" ha curato un numero monografico su Milan Kundera. Dal 1995 insegna presso l'Università di Trento.